Serve una reazione, un segnale. Serviva contro il Palace, per rispondere ad una pessima prova contro il Fulham, ma oltre alla forma fisica ancora molto acerba di alcuni giocatori, la distrazione di Phillips sul gol di Zaha e l’ingenuità di Núñez hanno rimandato la gioia dei tre punti. Una risposta serviva ancor di più con lo United, all’Old Trafford, luogo perfetto per ritrovare stimoli, motivazioni e agonismo, che sembravano del tutto assenti alle prime due di campionato. Eppure, scendiamo in campo con un atteggiamento lezioso, con superficialità in fase difensiva, un attacco con il freno a mano e un centrocampo del tutto improvvisato. Perdere con lo United fa sempre male, ma perdere contro lo United più disorganizzato e lacunoso degli ultimi anni, per i tifosi più sanguigni può essere quasi straziante.
Bene, il Bournemouth può esser l’avversario giusto da ospitare all’Anfield per risollevarsi, sulla carta. “Sulla carta” perché ormai la Premier la conosciamo, se parti indietro con la preparazione atletica e sei tartassato da infortuni e quindi costretto a schierare le terze linee titolari, devi rimboccarti le maniche contro chiunque, figuriamoci poi se sei il Liverpool e devi ospitarli all’Anfield, dove chiunque spera di realizzare la propria piccola impresa strappando un pareggio.
Sicuramente non si può cercare rimedio alla sfortuna che ha portato la nostra infermeria a fare sold out (si spera), ma lo si può fare con la superficialità e la svogliatezza di alcuni. Per fare un esempio, Milner contro lo United è stato visibilmente quello che ha sbagliato più passaggi e stop, eppure dopo averlo visto urlare riprendendo Van Dijk, dopo l’ennesima svogliatezza difensiva, quasi come un padre incazzato, ti rendi conto immediatamente che non perdi certe partite per qualche passaggio sbagliato, ma per altro.
Pensi che forse con sei o sette giocatori anche più limitati qualitativamente, ma con l’approccio giusto, quel gol, come quello di Rashford, Zaha, o i due di Mitrović, non lo prendevi. Tutti gol evitabili, se Alexander-Arnold non si fosse fatto saltare in testa, se Van Dijk non avesse steso il tappeto rosso per Mitrovic in area di rigore, o se Phillips e Gomez non si sciogliessero come il burro al sole al minimo filtrante in verticale. Quindi, è vero che siamo corti e con gli uomini contati, ma non è l’alibi principale.
Cosa ci vuole per risollevarsi, quindi? Molto meno di quello che sembra in realtà: umiltà e concentrazione. Componenti imprescindibili per ritrovarsi in sé stessi, come individui, per alcuni giocatori davvero irriconoscibili in questo momento, e solo successivamente come collettivo.
È facile prevedere quale sarà l’approccio tattico del Bournemouth una volta arrivato all’Anfield. Dopo aver raccolto la palla dalla rete per quattro volte contro il City e tre contro l’Arsenal, con ottime probabilità questa volta faranno barricare l’aria di rigore da nove uomini, per poi colpire in contropiede con i soliti filtranti in profondità, che quest’anno sembrano delle lame roventi per la nostra difesa. Tutto da prassi, naturalmente. Noioso sapere di affrontare il classico schemino avversario, frustrante realizzare, tuttavia, che nonostante sia il più banale di tutti, resta il più arduo da difendere per noi, anche a distanza di anni.
Dal punto di vista tattico non c’è molto da chiedere ai nostri, avendo gli undici contati, è inevitabile che le varianti diminuiscano e le soluzioni diventino prevedibili, ma, come detto, la differenza si fa anche con la testa. Umili e concentrati, dunque, esattamente come quando due anni fa dovemmo risollevarci da una crisi avviata con quello spiazzante 7-2 contro i Villains neopromossi e portata avanti anche a causa di infortuni a cascata. Déjà-vu?
È presto per parlare di “crisi”, anche per i tifosi più amareggiati e criticoni. Le partite sono scandite da eventi, lo sappiamo, e le partite portano a loro volta portano i tifosi, i giocatori e lo staff a dover affrontare periodi differenti, che siano entusiasmanti o delicati, talvolta drammatici. Se quel tiro di Henderson invece di stamparsi sulla traversa fosse entrato in rete contro il Fulham nei minuti finali, nonostante avessimo giocato una partita pessima l’umore sarebbe stato differente e le due partite le avremo prese sicuramente col piglio giusto. Eventi scandiscono momenti, momenti scandiscono l’umore e l’umore incide sulle prestazioni della squadra, legge “ciclica” che governa il calcio dall’alba dei tempi.
Serve una risposta, dunque, un segnale: i tre punti. Servono per ricordare a tutti i nostri avversari che siamo ancora il Liverpool, servono per fare morale, per tamponare le ferite e guadagnare tempo per il rientro degli infortunati, servono per rimettersi in careggiata a poco a poco, silenziosamente. Non importa come, con quanti gol fatti o quanti subiti, giocando male o bene, l’unica cosa che ci auguriamo di vedere oltre i tre punti, oltre il sorriso di Klopp, dei giocatori e i cori della Kop, sono umiltà e concentrazione.
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