Il match di ieri ci ha visto scendere in campo contro il Leeds dell’americano Jesse Marsch. Lui e i suoi ragazzi sono riusciti a tornare nello Yorkshire con ben tre punti, interrompendo un digiuno di vittorie che li tormentava da ben otto partite. Il malumore è tanto, i rimpianti anche, la rabbia meglio non esprimerla: la delusione e lo stupore ormai sempre meno, ma non è una nota positiva.
Arrivando direttamente al nocciolo, senza troppi giri di parole: il Leeds, come il Nottingham, è arrivato a questo match in maniera pietosa, bullizzato da tutti, con due punti ottenuti in otto partite e ben quindici gol subiti. È con un velo di vergogna e umiliazione analizzare certi trend e rendersi conto che, probabilmente, l’ottima performance di certe avversarie sia il risultato di tuoi demeriti, sbavature e approcci sbagliati, piuttosto che meriti tecnici o tattici loro. Zero punti fatti contro contro Nottingham e Leeds sono una sirena rossa che suona ad un volume molto, molto alto.
LA PARTITA
Che il calcio sia uno sport di squadra, nel quale si vince e si perde assieme, è un fatto assodato, che non si possa colpevolizzare singole giocate reputandole “colpevoli” di una sconfitta, stesso discorso, ma già meriterebbe un’analisi più approfondita per casistica. Quando subisci un gol come quello dell’uno a zero di Rodrigo, provi tante emozioni: prima rabbia, poi vergogna, poi tenerezza verso chi ha combinato la frittata, poi di nuovo rabbia e così via fino a quando non riaddrizzi e vinci il match. Joe Gomez, dunque, decide di farci partire in handicap con un retropassaggio concettualmente inquietante, a testa bassa, senza sapere che Alisson nel frattempo gli stava venendo incontro, lasciando la porta scoperta. Regala così a Rodrigo il gol più facile della sua carriera, un cioccolattino già scartato.
Errore ancora una volta non tecnico, ma quindi ancor più grave per chi milita in prima divisione. Un giocatore che semplicemente ha dimostrato più volte di essere discontinuo, tremendamente distratto e soprattutto superficiale da morire. Due errori, se si considera anche quello di Nottingham, che psicologicamente rischiano di affossare chi lo commette, la squadra che gli sta attorno e l’allenatore, che prepara e studia la partita con tanto lavoro e che è il primo ad attirare pressione in caso di sconfitta. Partire in “salita” ad ogni partita di campionato è un problema psicologico evidente, figuriamoci poi doverlo fare per errori del genere.
La risposta generale, tuttavia, è positiva: nonostante un pressing più volte andato a vuoto e un filtro a centrocampo semplicemente inesistente, davanti creamo tanto e la risposta arriva immediatamente con Salah. Tiro al volo, schiacciando il pallone a terra, su un cross perfetto e leggiadro come sempre di Robertson, forse il migliore in campo. Robertson, Salah e Thiago: probabilmente gli unici assolvibili, per motivi diversi. Robbo per l’approccio e per i chilometri percorsi inesorabili, Thiago per esser stato l’unico a creare gioco e iniziative, puntualmente sprecate dagli attaccanti, Salah per il gol e per la voglia di ribaltarla, nonostante più di un imprecisione negli ultimi metri.
Capitolo Núñez: rimane un giocatore ancora da inquadrare del tutto, che alterna gravi errori sottoporta a splendidi gol e giocate, come il tiro all’incrocio sul secondo palo parato da Meslier, un miracolo che ha cancellato un gol da cineteca. Questo, però, come Amsterdam, sempre dopo un grave errore sottoporta, anzi, due. Parliamo di un ragazzo di 23 anni uruguayano, con il fuoco sudamericano dentro, forse troppo, e proprio per questo ancora acerbo, emotivo e per nulla freddo sottoporta. Migliorerà? Klopp ne è convinto. Incrociamo le dita, perché in tal caso ci ritroveremo con un grande attaccante in rosa. Nel frattempo però, il doppio errore di ieri pesa tantissimo, sia psicologicamente per lui, che materialmente per noi: portandoci in vantaggio è inutile dire che il match avrebbe preso una piega ben diversa. Grave.
Per quanto riguarda il gol del nuovo vantaggio del Leeds, arrivato al minuto 89’, fatico a commentarlo, un po’ per la rabbia un po’ perché a questo punto ogni critica è già trita. Tanta passività e nulla più, con Jones e Milner che in raddoppio non sono riusciti a strappare palla a Gnonto e un Van Dijk che, piantato con i chiodi per terra, concede l’angolo per lo splendido tiro di Summerville.
In generale, tante occasioni avute e sprecate, quante quelle potenzialmente mai materializzate per colpa di errori banali in costruzioni o ripartenze. In entrambi i casi, il minimo comune denominatore è la mancanza di serenità e raziocinio nelle giocate, che siano sotto porta, a centrocampo o in fase difensiva.
Mancanza di serenità che deriva dalla consapevolezza di aver perso troppi punti quest’anno, di ritrovarci inaspettatamente in una stagione di transizione, in cui forse si è vicini a dover rifondare un ciclo per ritrovare motivazioni. Altro fattore applicabile per alcuni singoli: l’irrequietezza e la paura di fare l’ugual sorte di Luis Díaz e Jota, costretti a dover rimandare di altri quattro anni il sogno Mondiale per uno sforzo o un contrasto di troppo. Contrasti, quelli sconosciuti al Fabinho, all’Alexander-Arnold e al Van Dijk di quest’anno, senza i quali, purtroppo, in Premier League difficilmente riesci a portare punti.
Brutto dirlo, figuriamoci ripeterlo: fare zero punti con Nottingham e Leeds purtroppo pesa tantissimo ed è inaccettabile. Tuttavia, l’unico modo per superarlo è accettandolo, capendo che sarà una stagione diversa, complicata, e regolandosi di conseguenza. Ciò significa, nella pratica, riconoscere i limiti e agire per migliorarli, ridimensionare gli obbiettivi stagionali e soprattutto dimenticarci di vincere e portare a casa il risultato col minimo sforzo, come potevamo permetterci di fare in alcune partite gli anni passati. La stagione è ancora lunga, ma se non si riconquista la consapevolezza e la serenità oggi, puoi ritrovarti a Marzo in un amen, a dover fare salti mortali per un posto in Champions, come due anni fa. Rimboccarsi le maniche dunque, ma prima, un bel respiro profondo. Forse due.
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