Termina 1-1 il match senza dubbio più complicato della stagione dei Reds, contro l’onnipotente Manchester City, al meno straripante Etihad Stadium, rimasto ancora più silenzioso del solito.
Fatta eccezione per Robertson e Thiago, per i quali non si prevedono tempi di recupero brevi, la rosa di Klopp è tornata al completo dalla sosta nazionali, con una panchina più che folta di qualità:
PRIMO TEMPO
Pronti, partenza, via: e dopo pochi secondi il City prova subito a metterci in difficoltà con un pressing altissimo, e, purtroppo, ci riesce perfettamente. Dopo i primi 10 minuti iniziava ad aleggiare nella testa dei tifosi Reds, specie fra quelli meno ottimisti come il sottoscritto, l’idea che sarebbe stato un pomeriggio lunghissimo, con gli spettri dell’imbarcata dello scorso anno.
Alla pressione fisica posta dalla corazzata di Guardiola si è sommata quella psicologica, nella mente di chi sapeva bene che una sconfitta avrebbe potuto far perdere terreno sanguinoso per la corsa al titolo, in memoria di titoli persi per molto meno di quattro punti di discrepanza. Le gambe dei nostri sembravano nei primi minuti visibilmente tremare, specie quelle di Alisson, oggi quasi in versione boicottatore, il cui rinvio propizia il goal del vantaggio di Haaland, imbucato da un Akè in versione brasiliana.
Fatta eccezione per una grande parata di Ederson su colpo di testa di Núñez, fino al loro vantaggio si segnala da parte nostra solo un pressing più o meno sterile, contrasti passivi, buchi in mediana e errori grossolani, ma siamo ancora al 27esimo. Dopo il goal del vantaggio, il City pare quindi leggermente rilassarsi e il Liverpool inizia ad affacciarsi al match con un paio di palle riconquistate nella metà campo avversaria e qualche pericoloso contropiede, seppur gestito timidamente.
Poche occasioni create, ma tante azioni potenzialmente pericolose fanno pensare che Guardiola i tre punti dovrà sudarseli fino alla fine. Finisce un primo tempo tutto sommato equilibrato, che preannuncia un secondo tempo apertissimo.
SECONDO TEMPO
Iniziano i secondi quarantacinque minuti e il pressing del City riprende da dove aveva finito, ma questa volta i Reds sembrano finalmente aver acquisito maggior solidità psicologica, concedendo meno all’avversario e rimanendo in partita in attesa del momento giusto.
Iniziamo allora a scacciare via la pressione e a credere che la partita possa davvero offrire qualcosa dal punto di vista della classifica, quando, a dieci minuti dalla fine, riusciamo a trovare la meritata ricompensa con una rasoiata “gerrardiana” al limite dell’area di Alexander-Arnold. Goal splendido, totale parità all’Etihad ed il cronometro che cresce come l’ansia e l’euforia.
I dieci minuti finali raddoppiano inspiegabilmente con otto minuti di recupero di natura alquanto misteriosa e più si oltrepassa il 90esimo, più i nostri iniziano ad accusare la stanchezza e la lucidità, mentre i subentranti non incidono come ci si auspicava.
Finale da cardiopalma: fra altri rinvii sbagliati di Alisson, dribbling di Doku in area di rigore, punizioni dal limite e due nitidissime palle goal per il City, arriva finalmente il triplice fischio.
Uno a uno al silenzioso Etihad, Klopp soddisfatto mentre Guardiola, alquanto polemico, è protagonista di un disguido finale con Núñez, dai motivi alquanto anonimi per tutti quelli che non masticavano lo spagnolo a bordocampo.
È bello, finalmente, poter considerare un pareggio come un punto guadagnato quando ha un impatto che va ben oltre alla classifica. Il match di oggi era, infatti, il definitivo test per comprendere la nostra reale misura e, in altri termini, per capire se ambire a molto più del semplice posto in Champions League programmato ad inizio stagione, fra scetticismo e delusioni dal mercato.
Oggi si può nuovamente dire a distanza di un anno che i rossi sono tornati, e che Guardiola dovrà fare di nuovo 98, 97 o 96 sudatissimi punti se intende alzare un’altra Premier League.
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